Cenni storici
Cenni storici
La Medicina Omeopatica è una scienza sviluppata dal punto di vista teorico e sperimentale clinico dal grande maestro dott. Samuel Hahnemann, medico tedesco vissuto a cavallo tra il ‘700 e l’800. Se però si studia la storia della medicina con una certa attenzione, si possono trovare i germi della visione omeopatica in secoli molto antecedenti; è un segnale che tale medicina si basa su leggi di natura fondamentali ed immutabili, che possono essere scoperte dall’osservatore scrupoloso tramite l’empiricità, solo se si sofferma a sondare più in profondità l’organismo, l’Essere umano nella sua totalità ed unicità.
Andando a ritroso nei secoli, possiamo riconoscere i primordi del pensiero omeopatico in Ippocrate di Cos (460-377 a.C) , considerato il “padre” della medicina. Egli prese in considerazione due medicine: quella che cura con i contrari, l’allopatia (da greco allos = altro), e quella che cura i simili con i simili (omos = uguale), omeopatia.
Sua è la nota frase “Similia similibus curentur” (i simili si curino con i simili). Pur utilizzando anche la “medicina dei contrari” (cioè la allopatia), intuì che la sostanza simile a ciò che fa ammalare è in grado di indurre nell’organismo una reazione in grado di guarire la malattia stessa. Suo anche il concetto di “Vis medicatrix naturae”: questo concetto è riferito alla capacità di autoguarigione insita in ogni organismo vivente.
Successivamente comparve Galeno (129-216 d.C.), grande medico greco; anch’egli conosceva il principio di similitudine.
Giungiamo in epoca più tarda ai cultori della Spagiria e della “Dottrina delle Signature”; costoro ricercavano la similitudine nella forme esterne degli elementi naturali.
Poi Paracelso (Theophilus Bombastum, 1493), insigne alchimista e medico, che, nella sua opera più famosa, il Paragrano, introduce il concetto di dose. Sua è l’affermazione “Solo la dose crea il veleno”. Questo implica che l’effetto benefico o la tossicità del farmaco dipendono dalla dose ponderale utilizzata.
Anche il noto Nostradamus, laureato in Medicina all’Università di Montpellier, ebbe un’intuizione, durante un epidemia di peste, che lo portò ad usare il simile: osservando che la malattia era trasmessa dai topi, pensò che, se i topi portavano il morbo, da essi poteva provenire anche la cura. Somministrò quindi a malati di peste sangue di topi infetti. Non ottenne però i risultati sperati, perché gli mancava un “quid”: il concetto di diluizione infinitesimale.
Ma giungiamo ora al vero fondatore, anzi lo “scopritore” (come lui stesso si considerava), colui che semplicemente ha portato alla luce, l’Omeopatia: è Samuel Hahnemann, nato a Meissen, in Sassonia, il 10 aprile 1755.
Nel 1775 Hahnemann decide di partire per Lipsia ed iscriversi alla Facoltà di Medicina di quella città.
A Lipsia Hahnemann approfondisce la conoscenza delle due correnti di pensiero presenti nella medicina in quel periodo: il Vitalismo ed il Materialismo.
È fin dal principio il pensiero Vitalistico ad affascinarlo, tanto da indurlo a studiare attentamente le opere di Paracelso ed Ippocrate.
Si laurea nel 1779 e inizia a praticare con successo a Dresda e poi a Lipsia, conseguendo fama professionale ed agiatezza economica. Ma in quel periodo i metodi di cura erano deludenti: spesso i medici si limitavano a praticare per ogni affezione il salasso o a somministrare purganti, con il risultato di indebolire ulteriormente gli organismi già provati dalla malattia.
Ad un dato momento ha inizio la crisi professionale di Hahnemann che culmina nel 1786: un giorno, entrando nello studio gremito da una folla di pazienti, manda tutti a casa, affermando di non essere in grado di curarli. Interrompe quindi la sua attività di medico, tra lo sgomento dei familiari.
Inizia per lui un periodo di grande lavorio spirituale, di approfondimento del rapporto con il Divino, con il valore del sacrificio e dell’amore verso il prossimo. Scrive: “C’è un Dio, un Dio buono che è la stessa bontà e saggezza. Deve quindi esserci un mezzo creato da Lui per esaminare le malattie sotto il loro vero punto di vista e per guarirle con certezza”.
Il presentimento dell’esistenza inconfutabile di una “legge di guarigione” lo spinge alla ricerca ostinata ed infaticabile.
Egli è uomo di grande cultura, conosce perfettamente molte lingue, compresi ebraico ed arabo; inizia così l’attività di traduttore di libri. Giunge casualmente a tradurre un trattato di Medicina, “Materia Medica” del Cullen (medico scozzese). Da questa lettura trae uno spunto interessante: vi è descritto il caso di una intossicazione collettiva di un gruppo di operai addetti alla lavorazione della corteccia di china, usata già allora per la cura della malaria. Gli operai, che avevano assunto accidentalmente dosi elevate di china, presentavano sintomi simili a quelli della malaria, per la quale si utilizzava appunto la china come cura. E qui il genio di Hahnemann ha la rivelazione: gli tornano alla mente gli studi su Ippocrate ed il suo principio di similitudine. Prova quindi ad assumere egli stesso dosi sempre più elevate di chinino, fino a vedere la comparsa di febbre e brividi simili a quelli della malaria, che il chinino è in grado di curare.
Egli comincia così a pensare che forse è questo il potere curativo dei medicamenti: la capacità di produrre nel sano una condizione di malattia simile a quella che curano in un malato.
Di qui inizia, grazie alla sua esperienza in chimica, la sperimentazione su se stesso, su stretti collaboratori e familiari, di svariate sostanze nei più vari dosaggi, di cui annota minuziosamente gli effetti a livello fisico e psichico. Per evitare effetti pericolosi (sperimentava anche veleni) diluisce le sostanza fino al punto in cui non fossero più pericolose.
Questo è ciò che in omeopatia viene definito il metodo del “proving”: Hahnemann sperimenta i rimedi su individui sani, utilizzando un rigido protocollo, con cui registra i sintomi di tipo psicologico, generale e fisico che il rimedio produce, per potere usare lo stesso rimedio nel paziente che presenterà quei sintomi. In questo modo diviene davvero il pioniere nel campo della sperimentazione clinica.
Dagli studi durati vari anni (è molto scrupoloso, minuzioso e non scrive mai nulla prima di avere prova certa di ciò che afferma) giunge alla conclusione che “Similia Similibus Curentur” era una legge della Natura, quella legge che cercava da anni, una verità senza eccezioni. Hahnemann scrive: “Per guarire una malattia bisogna somministrare all’individuo che ne è affetto un rimedio che gli provocherebbe, se fosse sano, la malattia che lo affligge”.
In seguito ebbe un’ulteriore illuminazione: la sostanza diluita funziona meglio se viene agitata (metodo della succussione): nasce il principio della “dinamizzazione”.
Ecco posti quindi i tre pilastri della omeopatia: la cura tramite il simile, la diluizione e la dinamizzazione.
Successivamente pubblica l’Organon o “l’arte del guarire” nel 1810. Poi, nel 1811, il primo volume della “Materia Medica Pura” e successivamente il “Trattato sulle malattie croniche” (1828).
Si legge in questi libri una profonda evoluzione nel pensiero di Hahnemann, che prendendo il via dalla teoria del simillimum ( il “maggiormente simile”), giunge ad approdare alla concezione del trattamento miasmatico, a cui perviene riflettendo sulla natura delle malattie croniche. Approfondiremo in seguito il concetto dei “miasmi” di Hahnemann: la Psora, la Sicosi e la Lue.
Chiamato all’insegnamento alla cattedra dell’Università di Lipsia, resta vedovo. Si risposerà con una paziente, Melanie, con la quale scopre una profonda affinità e che lo sosterrà nel proseguire il suo cammino sempre irto di ostacoli. Successivamente si trasferirà in Francia, a Parigi, dove vivrà e morirà nel 1843 ad 88 anni, ormai accompagnato da una vasta notorietà.
Nello stesso periodo storico, verso il 1820, in Sassonia, il dott. Hering Constantine ricevette l’incarico di studiare l’omeopatia per confutarla. Ma, per ironia della sorte, fu proprio durante tale studio che si convinse dell’efficacia del metodo di Hahnemann (anche perché con l’omeopatia guarì da un’infezione che lo avrebbe portato all’amputazione di un dito). Negli anni successivi egli emigrò negli USA, abbandonò la medicina allopatica e si dedicò completamente allo studio ed alla pratica della Medicina Omeopatica.
Sua è la “Legge di Guarigione”, secondo la quale le malattie guariscono:
1) dall’interno verso l’esterno
2) dall’alto al basso
3) dal centro alla periferia (cioè, dalla mente al corpo e dagli organi più importanti a quelli meno importanti)
4) in ordine inverso da come erano comparsi i sintomi di malattia.
Altro grande esponente della Medicina Omeopatica fu James Tyler Kent. Nacque nello stato di New York nel 1849, esercitò la professione in USA. All’inizio scettico nei confronti dell’omeopatia, in seguito alla guarigione quasi miracolosa della moglie operata da un medico omeopata, si converte all’omeopatia e diviene uno dei suoi più grandi maestri. Riteneva che l’Omeopatia fosse l’unica forma di cura regolata da leggi e principi, l’unica che ricercasse le cause profonde della malattia. Scrisse la “Filosofia Omeopatica”, la “Materia medica” e la sua opera fondamentale, il “Repertorio di Materia Medica”. Quest’ultima è un’opera che raccoglie tutti i sintomi, con le caratteristiche minutamente dettagliate di miglioramento e peggioramento (ad esempio: a seconda del clima, temperatura, dell’ora del giorno, dei pasti ecc.). Per ogni sintomo, il dott. Kent compilò una lista dei medicamenti omeopatici tra i quali il medico ha possibilità di scegliere il simillimum più adatto al paziente.
In quegli anni la diffusione dell’omeopatia in Europa segue gli eserciti di Napoleone, che era grande sostenitore dell’Omeopatia. Conseguenza in negativo fu che gli oppositori al suo regime, divennero anche oppositori nei confronti dell’Omeopatia.
La diffusione dell’Omeopatia proseguì in Europa come in America del Nord e del Sud (in particolare in Argentina) e in Asia (in special modo in India).
In Italia i centri di maggior diffusione furono Napoli e Roma: in quest’ultima città svolse la sua attività il professor Antonio Negro (1908-2010), padre e maestro dell’omeopatia italiana.
l professor Antonio Negro è stato assistente di Nicola Pende presso la Facoltà di Medicina dell’Università La Sapienza di Roma, dal quale ha ripreso e portato avanti i principi della Scuola Costituzionalistica Italiana. Tale scuola basava i suoi principi sull’osservazione generale del malato, non solo sugli aspetti organici ma anche funzionali e mentali.
La sua attività terapeutica, caratterizzata anche da una forte dimensione religiosa, era improntata su uno stretto dialogo con il paziente concepito come strumento necessario alla comprensione della “persona umana nella sua ontogenesi di biotipo, attraverso lo studio della sua morfologia e della psicogenesi personale” (I veri principi…, 2006, p. 16). Il suo approccio riprese quindi l’impostazione di Hahnemann, integrandola con la clinica biotipologica di Pende e con una lettura religiosa, nella ricerca di un rimedio unitario capace di agire in toto sulla realtà biologica del malato. In tal modo fu il fondatore del metodo che si può definire “miasmatico-costituzionale”.
Un suo particolare campo di interesse e studio fu l’eugenetica, intesa come cura omeopatica impiegata in gravidanza, con l’obiettivo di intervenire sui fattori epigenetici, per attivarli e modificarli rispetto ai fattori patogenetici ereditari.
Fin dagli anni trenta si interessò della istituzionalizzazione dell’Omeopatia in Italia.
Nel 1950 il professor Negro fondò il “Centro Ippocratico”, ispirato ad Hahnemann, e nel 1953 aprì l’”Accademia di Medicina Omeopatica Hahnemanniana”.
A Napoli, nel 1970, fondò il Centro di medicina omeopatica napoletano (CEMON) e, nel 1976, la Libera Università internazionale di medicina omeopatica (LUIMO), insieme ad Adele Alma Rodriguez, all’argentino Tomas Pablo Paschero e al messicano Proceso Sanchez Ortega.
Nel 1991 fondò la S.I.M.O.H., Scuola Italiana di Medicina Omeopatica Hahnemanniana, che diresse fino alla sua morte.
Fu medico personale di Oscar Luigi Scalfaro e curò saltuariamente Sandro Pertini, che nel 1984 lo insignì del titolo di Grande ufficiale dell’ordine al merito della Repubblica italiana
Il professor Antonio Negro morì a Roma il 25 marzo 2010 all’età di quasi 102 anni.
Alcune tra le sue opere:
L’omeopatia. Relazione, discussione e aggiornamento, Roma 1951;
La realtà omeopatica, ibid. 1960;
Biotipopatogenesi miasmatica omeopatica, in “Rassegna di medicina omeopatica”, aprile-giugno 1981, n. 2, pp. 6-14;
Medicina omeopatica, in Istituto Superiore di Sanità, “Rapporti Istisan”, 85/11, Roma aprile 1985;
I veri principi della medicina omeopatica Hahnemanniana, in “Rassegna italiana di medicina omeopatica”, I (luglio-dicembre 2006), 1, pp. 9-30;
Verità omeopatica (1991), in “Bibliografia omeopatica italiana”, pp. 91-95.